AyD

"I colori delle mie emozioni, robusti e silenziosi nell'incertezza del mio vivere..."

mercoledì 7 marzo 2012

Miran



Pantaloni al polpaccio, spalle strette e braccia al ginocchio, passava ogni giorno alla solita ora, camminava senza fermarsi, il basco calzato sul capo fin a coprire gli occhi.
Il suo movimento era ritmato dal flettersi delle gambe, ad ogni incrocio si fermava…sembrava riflettere ma era solo una brevissima attesa e uno sguardo furtivo per non essere investito dai rari veicoli presenti in paese.
I pantaloni corti erano gli stessi di quando era ragazzo, le scarpe risultavano vecchie e pesanti, il suo andare metodico, scandito dal tempo che passava lentamente.
I suoi occhi erano vuoti e persi in uno spazio lontano, Miran lo slavo, Miran il senza patria.
Il lavoro colmava l’assenza dei ricordi mentre le dita stringevano cazzuola e cupă per preparare la malta ed i suoi gesti sembravano ripetere un antico rituale…pietra dopo pietra, fila dopo fila, legando i vuoti con malta fine.
Cercava le pietre lungo l’argine del torrente o rubandole allo scorrere dei flutti: pietre bianche e ruvide ma continue al tatto come un vecchio tessuto di lino e canapa…le accarezzava mentre le sceglieva per valutarne l’uso e parlava loro con tono sommesso mentre le poneva in un grande fardello.
Pietre bianche combinate a pietre grigie e nere…a volte i resti di vecchi fondi brillanti di bottiglie completavano l’innalzarsi di muri e confini.
La sua giornata era interminabile e la sera, quando la luce non permetteva più il lavoro, Miran andava a riposare. Con il suo passo saltellante e ritmico rientrava per la solita via mentre i ragazzini lo rincorrevano per divertirsi e lo apostrofavano - slavo, slavo, slavo…- ma Miran procedeva con il suo solito sorriso.
E le pettegole sulla porta si chiedevano…- Ma perché sorride?!  La sua vita può essere migliore della nostra??!-
E lui andava e andava  con le sue braccia lunghe e il cappello calato sulla testa.
 Gli anni trascorrevano lenti ed uguali per Miran, i suoi muretti bianchi e colorati racchiudevano gli spazi del paese come in uno strano ricamo, quasi un rammendo.
Linee rette, curve e sghembe si intrecciavano ripetutamente ed il paese sembrava racchiuso da una simmetrica e precisa ragnatela: immobile nei i suoi confini, con le piccole case racchiuse in spazi definiti  da strade, vicoli, muri e limiti.
Il suo passo echeggiava sicuro lungo il vecchio tracciato del paese, ormai trasformato in un labirinto complicato di cui solo lui conosceva il segreto per entrare ed uscire.
Il paese con il trascorrere degli anni esaurì ogni risorsa per vivere…
gli abitanti finirono il mais, i chicchi di grano, gli ortaggi che coltivavano, le semenze…i bambini affamati non ridevano, non rincorrevano più lo slavo; i vecchi e persino gli adulti cominciarono a morire pian piano di fame e d’inedia.
Miran proseguì ad innalzare le sue strane mura che ora non custodivano più case e confini, orti e terreni ma i corpi di chi continuava a morire.
L’ultimo muro o forse l’ultimo mucchio sconnesso di pietre Zoran lo innalzò per lui poco prima di lasciarsi imprigionare dall’ultima parola di questo racconto…

Aliceydulcinea alias Maria Vittoria





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